Beethoven al pianoforte
By:Chiantore Luca
Published on 2014-10-23 by Il Saggiatore
Beethoven genio compositivo. Beethoven campione dell’universalità del linguaggio musicale. Beethoven artista assoluto, creatore di capolavori immortali nei quali il Romanticismo riconobbe i propri ideali metafisici. Ma esiste anche un Beethoven nascosto, spesso taciuto o messo in secondo piano: il Beethoven virtuoso del pianoforte, interprete di impareggiabile spettacolarità, improvvisatore capace di avvincere le platee. Figlia dell’idealismo tedesco, la divisione – di più, la spaccatura – fra interpretazione e composizione, a tutto vantaggio della seconda, subordina lo strumentista all’autore e circonda la partitura di un’aura sacrale: l’opera, destinata a trascendere la realtà sensibile per raggiungere il piano spirituale che le assegna Arthur Schopenhauer, si cristallizza sul pentagramma in una struttura formale considerata perfetta e dunque immutabile. Per questo, a partire dal Romanticismo, i frammenti e gli esercizi redatti dai più diversi compositori vengono visti con superficialità, e indagati solo nella misura in cui possono celare, al loro interno, parti da presentare come opere compiute. Luca Chiantore, analizzando con l’acribia dello studioso e la passione del pianista gli esercizi di Beethoven, dimostra invece che i suoi appunti di lavoro rappresentano una tappa di irripetibile creatività nella storia della musica europea. Gli esercizi, infatti, permettono di sperimentare, di coltivare abilità, di sviluppare movimenti prima sconosciuti, o addirittura ritenuti impossibili; negli esercizi non c’è finalità che non sia esplorare e approfondire la relazione fra lo strumento e il corpo. In questo senso, per il musicista, sono un metodo insostituibile per scoprire il mondo, per conoscerlo. E per continuare ad arricchire la propria elaborazione compositiva. La creazione, allora, non conosce riposo, passa dalla partitura di un’opera alle veloci annotazioni di lavoro e da queste all’improvvisazione, senza che sia possibile interrompere il continuum, se non in modo arbitrario. Come forse è accaduto con Per Elisa, ingabbiata dai successori di Beethoven in una forma che lui stesso, con tutta probabilità, non avrebbe mai riconosciuto come definitiva, estraneo com’era all’idea dell’opera musicale come oggetto inviolabile. Beethoven al pianoforte presenta al lettore un’immagine inedita del compositore, in cui alla genialità autoriale si coniuga un’inquietudine creativa inesausta, già radicalmente moderna. Lo fa partendo dagli esercizi con i quali Beethoven riempì i suoi quaderni, e attraverso i quali intendeva raggiungere una spettacolarità che non si riduceva a mero virtuosismo, ma che era innanzitutto la manifestazione sensibile del desiderio di libertà dell’essere umano.
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